La libraia di Auschwitz di Dita Kraus. La sofferenza e il coraggio di una sopravvissuta

“La libraia di Auschwitz” narra la vera storia di Dita Kraus, ebrea di origine ceca, sopravvissuta alla tragedia dell’olocausto. È proprio lei a raccontare le vicende contenute in quello che non è semplicemente un libro di narrativa ma un’importante testimonianza sull’orrore dei campi di concentramento e sul coraggio di ricominciare a vivere dopo tanta sofferenza.

La libraia di Auschwitz di Dita Kraus. Le fasi della vita di Dita Kraus

Il romanzo si divide in tre parti, infatti l’autrice inizia a narrare la sua esistenza fin dall’infanzia soffermandosi spesso su avvenimenti persino banali ma con lo scopo di delineare meglio la sua personalità, la sua famiglia, la città in cui vive e tutti gli avvenimenti che accadono attorno a lei.
La seconda parte, la più drammatica, si concentra sulla deportazione ad Auschwitz: tutti quelli che vi giunsero furono marchiati da un numero sulla pelle, privati di qualsiasi dignità, costretti ai lavori forzati sempre più debilitati e sopraffatti da un continuo senso di angoscia.

«Fummo sopraffatte da un senso di impotenza e sconforto. A quel punto decidemmo di morire. Avevamo raggiunto la disperazione più totale. Non ci era rimasto un barlume di speranza e non volevamo più vivere».

Tuttavia dopo la disperazione iniziale per molti sopraggiunse la rassegnazione, non vista in senso negativo ma come forza latente capace di spingere la persona a sopravvivere a qualunque costo:

«Alla fine non potei far altro che accettare la realtà. Eppure una voce dentro di me continuava a ripetere: io non morirò, io non morirò».

Ad un certo punto, all’allora quattordicenne Dita, venne affidato il compito di libraia: a quel tempo ad Auschwitz c’erano una dozzina di volumi appartenuti ad altri deportati, alcuni dei quali privi di copertina ma quella piccola biblioteca fu in grado di tenere vivo il ricordo meraviglioso della vita, un piccolo fiore delicato immerso dentro un’enorme distesa di desolazione.
L’ultima parte, infine, narra il dopoguerra di Dita: il matrimonio con Otto Kraus, autore del testo “Il maestro di Auschwitz”, la difficoltà di vivere in Repubblica Ceca nel frattempo caduta in mano ai comunisti, la vita nei Kibbutz in Israele, non sempre semplice, e la testimonianza di ciò che era stato vissuto nel campo di concentramento e nei campi di lavoro, non meno duri di Auschwitz.

Ricominciare a vivere pur senza radici

Il libro è interessante perché si tratta di una testimonianza reale, ho trovato la prima parte un tantino noiosa ma in seguito il testo migliora e ritengo parecchio interessante proprio l’ultima parte in cui viene descritto nei dettagli quanto accadeva nella realtà dei kibbutz.
Dita Kraus, però, ammette di non sentirsi a casa in nessun luogo perché era una cittadina della Repubblica Ceca ma ormai, pur tornandoci spesso, non la sente più sua, tuttavia per quanto si sia sforzata di abituarsi alla terra di Israele percepisce che nemmeno questa è la sua terra, la guerra purtroppo ha sradicato tutti i suoi punti fermi.
Per quanto riguarda il titolo pensavo di leggere molto di libri, invece non è così. Questo aspetto ha deluso un po’ le mie aspettative sul libro, tuttavia ricollegandoci alla guerra e alla persecuzione ebraica rimane un’interessante testimonianza in cui traspare, per ovvi motivi, tanta sofferenza ma anche tanto coraggio.
Dita Kraus è riuscita a sopravvivere, a costruirsi una nuova vita con tanto di marito e figli; dopo la guerra l’esistenza per lei non è stata semplice perché le ferite dell’olocausto non possono rimarginarsi mai, inoltre sono tanti i sacrifici che ha dovuto compiere per la sua nuova vita ma non si è arresa mai combattendo con determinazione e pensando sempre che il meglio sarebbe arrivato dopo la realizzazione di un evento che avveniva nel frattempo; molti potrebbero pensare che si tratti soltanto di un modo simpatico per illudersi, invece per Dita significa guardare al futuro e pensare al domani non è mai negativo.
Ritengo, infine, che la forza della Kraus si sia concentrata ora proprio in questo suo scritto: in età avanzata ha deciso di donare a noi lettori le memorie della sua vita, un gesto che di sicuro le ha giovato ma che è prezioso per tutti noi.

«Ora non devo più attendere […] Non devo più mettere in pausa nulla; ora sono tornata al passo con la mia vita».